Il cibo del domani: la rivoluzione alimentare tra nuove tecnologie, timori e scienza.

In un mondo alle prese con cambiamenti climatici e crescita demografica, scienziati e innovatori stanno riscrivendo le regole dell'agricoltura e dell'allevamento. Dalla creazione di carne senza l'uso di animali vivi a innovazioni come l'agricoltura molecolare, emergono nuove soluzioni per nutrire il mondo in maniera sostenibile ed etica. Ma quali sfide dobbiamo ancora affrontare? In questo contributo, esploriamo le tecnologie all'avanguardia che stanno ridisegnando il futuro del cibo, con un occhio di riguardo verso pratiche che intendono preservare la biodiversità e il benessere animale.

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08 January, 2024

Lo scenario attuale

Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale raggiungerà i 9,8 miliardi entro il 2050. Questo incremento demografico pone una sfida senza precedenti: come produrre abbastanza cibo senza esaurire le risorse naturali del pianeta?

Attualmente, l’agricoltura e l’allevamento convenzionali sono responsabili per circa il 20% delle emissioni globali di gas serra, una percentuale significativa che sottolinea la necessità di un cambiamento radicale. Inoltre, il cambiamento climatico sta alterando la geografia agricola mondiale, riducendo le aree di terra coltivabile.

Secondo la Food and Agriculture Organization, oltre il 33% delle terre agricole del pianeta sta degradando a ritmi allarmanti, spingendo la ricerca verso nuove forme di produzione alimentare che richiedono meno suolo e meno risorse idriche. Per affrontare l’impellente sfida di produrre sufficientemente cibo senza esaurire le risorse naturali del pianeta, l’innovazione svolge un ruolo chiave. La ricerca agricola sta esplorando nuovi orizzonti, come l’agricoltura verticale e gli alimenti prodotti in laboratorio, che potrebbero rivoluzionare il modo in cui coltiviamo e consumiamo cibo. Il ricorso a pratiche agricole sostenibili, come l’agroecologia, che integra metodi tradizionali con conoscenze scientifiche moderne, può contribuire a migliorare la salute del suolo e a incrementare la biodiversità, garantendo al contempo la resilienza delle colture ai cambiamenti climatici.

Come la pandemia ha inciso sull’economia alimentare: inflazione e volatilità dei prezzi

In un mondo già scosso da conflitti geopolitici e cambiamenti climatici, la recente pandemia ha portato con sé un ulteriore strato di complessità e sfida: l’inasprimento dei problemi di inflazione e la volatilità dei prezzi delle materie prime. Queste dinamiche hanno aggravato la sicurezza alimentare globale, rendendola una questione ancor più pressante e critica.

Secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, l’emergenza sanitaria globale ha avuto un impatto significativo sui prezzi dei prodotti alimentari. Questo aumento non è stato uniforme ma ha colpito in modo particolare le economie più fragili e le fasce più vulnerabili della popolazione.

Un rapporto del 2021 ha rivelato chei prezzi globali dei prodotti alimentari sono aumentati del 20% rispetto all’anno precedente, un incremento che non si registrava da quasi un decennio.

Questo rialzo dei prezzi ha radici complesse. La pandemia ha disturbato le catene di approvvigionamento globali, causando ritardi e carenze nell’offerta di prodotti alimentari. Le misure di lockdown hanno ulteriormente complicato la situazione, limitando la manodopera disponibile per l’agricoltura e la produzione alimentare. Anche il costo dei trasporti è aumentato notevolmente, a causa delle restrizioni ai viaggi e dell’ascesa del prezzo del petrolio, influenzando direttamente il costo finale dei prodotti alimentari. L’impatto è stato particolarmente severo nelle economie in via di sviluppo. In questi contesti, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari si traduce non solo in una maggiore difficoltà di accesso al cibo, ma anche in un aumento della malnutrizione e della fame.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) ha segnalato che il numero di persone che soffrono di fame nel mondo è cresciuto di circa 161 milioni nel 2020, raggiungendo quasi gli 811 milioni. Questo incremento è stato attribuito in larga parte alle conseguenze economiche della pandemia.

In questo scenario, la questione della sicurezza alimentare si intreccia con le attuali problematiche economiche, delineando un quadro complesso che richiede interventi mirati e cooperazione internazionale. La risposta a questa crisi deve essere multidimensionale, coinvolgendo non solo il settore agricolo, ma anche le politiche economiche, sanitarie e sociali. È fondamentale che la comunità internazionale riconosca l’urgenza di queste sfide e agisca di conseguenza per garantire l’accesso al cibo a tutti, soprattutto in un periodo in cui le fragilità esistenti vengono esacerbate da nuove e impreviste crisi globali.

Alternative alla carne: arriva il cibo plant-based

Nell’odierno panorama dell’innovazione nel settore alimentare, emergono con forza le tecnologie legate alla produzione di cibo plant-based, ovvero alimenti a base vegetale. Questa tendenza, che sta riscuotendo sempre più interesse e investimenti, si inserisce in un contesto globale di ricerca di alternative sostenibili e salutari alla carne tradizionale.

Questi prodotti si basano sull’uso di ingredienti di origine vegetale, come proteine estratte dai piselli o altri legumi, attraverso un processo noto come estrusione. Successivamente, questi ingredienti vengono lavorati ulteriormente con l’aggiunta di altri componenti per creare prodotti finali che replicano le caratteristiche dei prodotti a base di carne tradizionali, come ragù, polpette e burger.

Secondo un rapporto di Markets and Markets, il mercato globale degli alimenti plant-based è destinato a crescere significativamente, raggiungendo un valore di 74,2 miliardi di dollari entro il 2027, con un tasso di crescita annuo del 11,9%.

Microalghe: il Superfood del futuro

All’interno della ricerca di soluzioni per contrastare i cambiamenti climatici e promuovere la sostenibilità ambientale, emerge con forza il contributo della biotecnologia alimentare. In questo ambito, alcune start-up stanno rivoluzionando il settore con la produzione di alimenti e bevande derivati dalle microalghe, dimostrando un notevole potenziale innovativo.

Le microalghe, coltivate in ambienti controllati come i bioreattori, rappresentano una fonte efficiente di nutrienti. La loro capacità produttiva è impressionante: per ottenere una tonnellata di proteine algali, sono necessari solamente 200 metri quadri, un’area notevolmente inferiore rispetto ai 1,4 milioni di metri quadri richiesti per la stessa quantità di proteine bovine. Questo confronto illumina l’eccezionale rendimento delle alghe e il loro ruolo potenziale nella riduzione dell’impatto ambientale legato all’agricoltura intensiva e all’allevamento.

Uno studio di particolare rilievo in questo campo, offre un’analisi dettagliata dell’impiego delle biomasse algali ricche di proteine: sono stati esaminati oltre 20 processi di conversione della biomassa algale, con un focus particolare sulle loro implicazioni ambientali e sui rischi correlati.

Tra i risultati più significativi emerge che i derivati algali possono efficacemente sostituire i mangimi tradizionali utilizzati in zootecnia e acquacoltura, contribuendo a ridurre l’impronta ecologica di questi settori. Ancora più rilevante è il fatto che, in molti degli scenari analizzati, l’impiego delle alghe potrebbe portare a una riduzione netta delle emissioni di CO2, con potenziali effetti positivi sul bilancio globale del carbonio.

Le microalghe, già sfruttate nella produzione di biodiesel, sono pertanto destinate a diventare un ingrediente fondamentale nella dieta del futuro grazie al loro elevato contenuto di proteine, acidi grassi essenziali e antiossidanti. Le proiezioni indicano che potrebbero fornire fino al 15% della proteina globale entro il 2050.

Dal laboratorio alla tavola: arriva la carne colturale

Nel crescente campo delle biotecnologie alimentari, una delle aree più innovative riguarda la produzione di carne coltivata, un settore che sta guadagnando sempre più attenzione a livello mondiale. Questa nuova categoria di prodotti alimentari, talvolta definita come carne colturale o carne a base cellulare, rappresenta un cambiamento radicale nel modo in cui la carne viene prodotta e consumata.

Il processo di produzione della carne coltivata inizia con la cellula di un animale, prelevata attraverso una biopsia da un esemplare vivo. Questa cellula viene poi inserita in un bioreattore, un ambiente controllato che simula le condizioni fisiologiche all’interno dell’animale, permettendo alla cellula di riprodursi e crescere. Importante è sottolineare che queste carni non sono geneticamente modificate, bensì coltivate in laboratorio.

In Italia, alcune startup stanno esplorando questo settore rivoluzionario grazie a ricerche finanziate da investitori privati. Parallelamente, esperti in biologia dell’Università di Trento stanno conducendo studi avanzati per sviluppare ulteriormente questa tecnologia. Il processo include la creazione di un ammasso cellulare che successivamente viene fatto maturare per formare strutture più complesse, come il tessuto di una bistecca o di un macinato. Questo avviene attraverso tecniche innovative come la stampa 3D o la colonizzazione delle cellule in tessuti spongiosi, un processo noto come scaffolding, dove le cellule sono stimolate a differenziarsi in tessuti connettivi, muscoli e grassi.

La carne coltivata sarà il 60% della rivoluzione alimentare entro il 2040

Nel cuore delle ricerche sull’alimentazione del futuro si nasconde una sfida cruciale: ottimizzare la crescita delle cellule nei bioreattori a costi sostenibili. L’Università di Tor Vergata collabora attivamente in questo ambito, contribuendo a perfezionare il processo di coltivazione cellulare.

A Singapore, è già possibile trovare la prima macelleria al mondo specializzata in questo tipo di carne, mentre un ristorante che la propone registra file d’attesa interminabili. Nel frattempo, aziende come GOOD Meat stanno conquistando il mercato internazionale con prodotti come la carne di pollo coltivata in laboratorio.

Questi sviluppi pongono le basi per una svolta nell’industria alimentare. Secondo un rapporto di AT Kearney, entro il 2040, ben il 60% della carne consumata potrebbe provenire da laboratori o essere sostituita da alternative a base vegetale. Questo cambiamento non solo promette di ridurre l’impatto ambientale legato alla produzione di carne, ma potrebbe anche aprire nuove strade per garantire la sicurezza alimentare e il benessere degli animali.

Fermentazione di precisione e proteine alternative

La fermentazione è un’arte antica, tradizionalmente associata alla produzione di birra e vino, ma ora è al centro di una rivoluzione nel campo delle proteine alternative. La fermentazione di precisione utilizza organismi geneticamente modificati, come lieviti, batteri e alghe, per produrre proteine che imitano quelle del latte, apportando una soluzione potenziale alla crescente intolleranza al lattosio, stimata al 65% della popolazione adulta globale, secondo la National Library of Medicine.

Il futuro sarà dunque avere prodotti che replicano il sapore e i nutrienti del latte senza sfruttare gli animali. Un esempio è un formaggio già attualmente prodotto senza l’uso del latte, che si avvale di lieviti modificati per produrre le stesse proteine del latte bovino, un processo che promette di ridurre notevolmente le emissioni di gas serra rispetto all’allevamento tradizionale, responsabile, secondo il Food and Agriculture Organization, del 14.5% delle emissioni globali di gas serra.

Il Mycelium e l’agricoltura molecolare

Un altro angolo promettente della fermentazione è la produzione di mycelium, i filamenti radice dei funghi. Questa biomassa, estremamente ricca di proteine, si presta a essere un’alternativa per carne e pesce. Il mycelium, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature, potrebbe ridurre il consumo di suolo fino al 90% se usato in sostituzione di fonti tradizionali di proteine.

Nell’agricoltura molecolare, si vanno oltre i limiti, e in questo caso i confini dell’ibridazione tradizionale. Introducendo geni di origine animale nei semi, le piante possono produrre proteine simili a quelle bovine e suine. Questa scienza ha il potenziale di trasformare le colture in “mini-fabbriche” di nutrienti, potenzialmente rivoluzionando il concetto stesso di agricoltura.

Il futuro (e le sfide) delle proteine alternative

Secondo le analisi del Boston Consulting Group, è probabile che entro il 2035, le proteine alternative rappresentino tra il 10 e l’11% del consumo totale di carne, frutti di mare e latticini. Questa stima rispecchia una tendenza emergente nel consumo alimentare, dove l’interesse per la sostenibilità e la salute stanno influenzando le scelte dei consumatori a livello globale.

Tuttavia, la strada verso un’adozione più ampia di queste proteine alternative è disseminata di ostacoli significativi. Tra questi, i costi relativamente elevati rappresentano una sfida imponente. Spesso, la difficoltà sta nella scalabilità delle soluzioni: portare queste tecnologie dalla fase sperimentale al mercato di massa è un processo complesso che richiede investimenti sostanziosi.

Un altro fattore da considerare è la sensorialità degli alimenti. Il gusto e la consistenza delle proteine alternative non hanno ancora raggiunto l’equivalente soddisfazione fornita dai loro corrispondenti tradizionali. Questa è un’area che necessita di ulteriori ricerche e sviluppo, con lo scopo di rendere le alternative non solo nutrizionalmente valide, ma anche gastronomicamente piacevoli.

In Europa, la burocrazia rappresenta una sfida aggiuntiva. I cosiddetti novel food, ovvero gli alimenti innovativi, devono ottenere l’approvazione della Commissione Europea. Tale processo include un’approvazione da parte del Comitato PAFF (Plants, Animals, Food and Feed) e un parere scientifico favorevole da parte dell’EFSA (European Food Safety Authority). Questo iter, oltre ad essere lungo, può comportare anche un esborso economico considerevole, rappresentando un possibile freno all’innovazione.

Nonostante queste sfide, le tecniche di miglioramento genetico come CRISPR-Cas9 offrono un’enorme promessa. Questo metodo di editing genetico permette di modificare direttamente i geni degli organismi per sviluppare colture con caratteristiche notevolmente migliorate, come la resistenza alle malattie e una maggiore tolleranza agli stress ambientali. L’impiego di queste tecniche potrebbe tradursi in un incremento significativo della resa delle colture, contribuendo in modo fondamentale alla sicurezza alimentare. Una ricerca dell’International Food Policy Research Institute indica che l’editing genetico ha il potenziale di aumentare la produttività agricola fino al 50%.

Coltivazione Idroponica, Robotica e Vertical Farming: agricolture di precisione per un futuro sostenibile

In un’era segnata da una crescente popolazione globale e sfide ambientali senza precedenti, il vertical farming si erge come una visione trasformativa nell’agricoltura. Questa pratica, che consente la coltivazione su piani verticali sovrapposti, va oltre il semplice risparmio di spazio: è una rivoluzione che promette resilienza e sostenibilità delle coltivazioni nel cuore delle nostre metropoli.

Secondo un rapporto del 2021 pubblicato su Agronomy for Sustainable Development, le fattorie verticali possono superare di 350 volte la produttività delle tecniche tradizionali per ogni metro quadrato di terra, abbattendo il consumo d’acqua fino al 95%.

Nel contesto attuale, dove l’agricoltura convenzionale accaparra circa il 70% del prelievo di acqua dolce mondiale, il vertical farming e l’idroponica emergono non solo come soluzioni tecniche ma come necessità ecologiche.

La coltivazione idroponica si distingue per la sua capacità di sfruttare soluzioni nutrienti in acqua anziché terreno, un cambiamento che non è solo simbolico ma di portata globale. Studi aggiornati indicano che questa metodologia può incrementare la produttività delle colture eliminando il fattore limitante del terreno e le malattie correlate, riducendo l’uso di acqua fino al 90% rispetto alle pratiche agricole convenzionali.

La robotica e l’intelligenza artificiale rappresentano il fulcro di questa trasformazione agricola. Droni capaci di monitorare vaste aree e robot che possono eseguire lavori ripetitivi con precisione stanno già cambiando il volto dell’agricoltura. La rivista Science Robotics nel 2020 ha enfatizzato come l’automazione possa non solo migliorare la produzione e la qualità del raccolto, ma anche ridurne l’impatto ambientale, limitando l’uso di pesticidi e fertilizzanti e ottimizzando le risorse idriche.

Tuttavia, non si tratta solo di tecnologie emergenti; è in gioco anche un cambiamento culturale. Affinché queste innovazioni possano radicarsi efficacemente nel tessuto dell’agricoltura globale, sono necessari investimenti, ricerca continua e un dialogo aperto tra sviluppatori tecnologici, agricoltori, politici e consumatori. Solo con un approccio collaborativo si possono superare gli ostacoli iniziali, come l’alto costo di implementazione e la necessità di nuove competenze.

Eredità genetica, nuovi polimeri e proteine inusuali verso un impatto zero

Nell’orizzonte scientifico contemporaneo, le tecniche di editing genetico aprono la strada a un’agricoltura radicale e innovativa. Con la potenziale reintroduzione di varietà di piante endemiche, resistenti e dimenticate, assistiamo al risveglio di un’eredità genetica che può contribuire a un sistema agricolo più pulito e sostenibile. I cereali di domani potrebbero essere capaci di fissare l’azoto atmosferico autonomamente, bypassando completamente la necessità di fertilizzanti chimici che tanto gravano sul nostro ecosistema.

Parallelamente, gli insetti si posizionano come protagonisti inaspettati nella narrazione della sicurezza alimentare. La loro efficacia come fonte di proteine altamente nutritive e il loro impatto ambientale minimo sono stati ampiamente documentati.

E non si tratta solo di cibo. I nuovi polimeri biodegradabili sono sulla bocca di tutti coloro che si occupano di sostenibilità. Con la promessa di degradarsi in modo naturale senza lasciare traccia, questi materiali all’avanguardia hanno il potenziale di ridurre drasticamente l’inquinamento globale, offrendo alternative praticabili alla pervasiva presenza della plastica.

Coinvolgere l’opinione pubblica e rivalutare le politiche

Il cammino verso queste innovazioni non è soltanto tecnologico, ma anche sociale e politico. Queste ambizioni non si limitano a essere una cartina al tornasole delle possibilità future; ma sono un invito all’azione collettiva. L’ombra lunga del passato controverso degli organismi geneticamente modificati (OGM) ha tinto di sfiducia il tessuto pubblico, una sfiducia che può essere erosa solo attraverso la trasparenza e l’impegno condiviso. È cruciale che le decisioni che modelleranno il futuro vengano prese con una comprensione collettiva dei benefici, dei costi e dei rischi, in un dialogo aperto tra scienza, politica e cittadinanza.

Mentre ci avviciniamo a un crocevia critico per il futuro della produzione alimentare, è chiaro che le promesse sono tanto audaci quanto le sfide. Le tecnologie all’avanguardia hanno il potenziale non solo di rispondere alle crisi imminenti di sicurezza alimentare e sostenibilità, ma anche di reinventare il nostro rapporto con il cibo e il mondo naturale. Il loro successo non sarà il risultato di singoli sforzi isolati, ma del nostro impegno collettivo per integrare l’innovazione nelle policy e nel dialogo pubblico, costruendo così un sistema alimentare che sia equo e in armonia con l’ambiente che ci sostiene.