I rischi dei social media per i più giovani: quando un selfie può costare la vita

Siamo immersi in un'era digitale in cui la connessione è immediata e il bisogno di visibilità sui social media è diventato, per alcuni, un'ossessione che plasma identità e comportamenti. Questo fenomeno, particolarmente diffuso tra i giovani della Generazione Z, non si limita più alla semplice partecipazione online: si è evoluto in una ricerca incessante di approvazione, dove l’immagine proiettata verso l’esterno spesso conta più della realtà stessa. La costruzione di una presenza virtuale attraente, infatti, può nascondere insidie profonde, e i rischi associati a questa corsa alla notorietà non sono soltanto psicologici, ma anche fisici, e talvolta mortali. Ma quanto vale la visibilità, e cosa ne pensa quella parte della Generazione Z che si dichiara contraria all'uso "estremo" dei social?

RischiSocial
15 Ottobre, 2024

La dicotomia degli influencer

Oggi gli influencer si dividono in due categorie principali. Da un lato, ci sono coloro che basano la loro popolarità su contenuti più “domestici”, come video sulle routine quotidiane, pulizie settimanali o la preparazione di pasti “fatti in casa”. Dall’altro, vi sono quelli che cercano il brivido e la notorietà attraverso gesti estremi, spesso pericolosi, con l’unico scopo di impressionare il pubblico.

Un esempio significativo è il caso di Caroline Calloway, che durante l’uragano Milton ha sfidato un’ordinanza di evacuazione obbligatoria per promuovere il suo libro. Allo stesso modo, Mike Smalls Jr ha rischiato la vita saltando in mare su un materasso gonfiabile, in condizioni estreme. Ma questi comportamenti, che sembrano superficiali e avventati, nascondono un pericolo ben più profondo: il bisogno costante di validazione e l’ossessione per il contenuto a discapito della propria sicurezza.

Il fenomeno dei selfie deaths

Il bisogno di spingersi oltre i limiti per creare “contenuti virali” ha portato a numerosi incidenti mortali. Uno degli episodi più drammatici è quello di un influencer britannico, caduto da uno dei ponti più alti di Spagna, il Ponte Castilla-La Mancha, durante un’impresa social. Senza attrezzature di sicurezza, ha perso la vita cercando di scalare una struttura di oltre 190 metri. Questo non è un caso isolato. A luglio 2024, l’influencer indiana Aanvi Kamdar è morta precipitando da una scogliera durante le riprese vicino alla cascata Kumbhe. Nel 2021, l’influencer di Hong Kong Sophia Cheung ha subito lo stesso destino mentre tentava di riprendere una cascata a Tsing Dai. Questi incidenti sollevano un’importante domanda: Cosa spinge queste persone a rischiare la vita per un video o una foto?

I “selfie deaths”, tragicamente, rappresentano una delle manifestazioni più estreme dell’ossessione per l’apparenza digitale. La ricerca del selfie perfetto ha spinto molte persone a compiere gesti estremamente pericolosi, talvolta con conseguenze fatali. Uno studio del Journal of Travel Medicine del 2018 ha riportato che, tra il 2011 e il 2017, si sono verificati 259 incidenti mortali legati ai selfie, con l’India in cima alla lista dei paesi maggiormente colpiti, seguita da Russia, Stati Uniti e Pakistan. Gli incidenti si verificano soprattutto in luoghi ad alto rischio, come ponti, scogliere o vicinanze di treni in movimento, dove l’urgenza di immortalare l’istante supera la percezione del pericolo reale.

Il valore della vita online

Quando si parla di motivazioni alla base della creazione di contenuti rischiosi, una delle risposte più immediate potrebbe essere legata al denaro. È innegabile che piattaforme come YouTube, Instagram e TikTok offrano la possibilità di monetizzare i contenuti, con alcuni creatori che riescono a guadagnare somme considerevoli, specialmente attraverso sponsorizzazioni, collaborazioni con brand e pubblicità. Secondo Influencer Marketing Hub, nel 2023, i guadagni medi di un influencer con un seguito di almeno 100.000 follower su Instagram possono arrivare fino a 5.000 dollari per post sponsorizzato, e su YouTube, i creatori possono guadagnare fino a 18 dollari per ogni 1.000 visualizzazioni.

Tuttavia, diversi esperti di sociologia e psicologia concordano nel ritenere che il denaro non sia l’unica o principale motivazione. Molti creatori di contenuti sembrano più spinti dal bisogno di approvazione, riconoscimento e fama online. Secondo uno studio condotto dalla American Psychological Association (APA) nel 2022, il 60% dei giovani della Generazione Z ha dichiarato che i “like” e i “follower” sui social media rappresentano una misura importante della propria autostima. Questo fenomeno, che si basa su una costante ricerca di conferme esterne, si manifesta attraverso l’ansia da prestazione sociale e la paura di essere esclusi, nota come FOMO – Fear of Missing Out.

Il fenomeno della seconda identità digitale

Una ricerca sociologica di Sherry Turkle, professoressa al MIT e autrice di Alone Together, ha messo in evidenza come le persone, e in particolare i giovani, tendano a costruire una seconda identità digitale, influenzata in gran parte dalle aspettative sociali e dai feedback ricevuti dagli altri utenti. Questa identità online, alimentata da like, commenti e visualizzazioni, spesso diventa una priorità a scapito delle relazioni reali e del benessere personale, mentre la pressione di mantenere un’immagine “perfetta” e il desiderio di riconoscimento possono portare a comportamenti sempre più estremi e rischiosi.

Non solo: il fenomeno della dipendenza da riconoscimento sui social media è stato esplorato anche da studi pubblicati sulla rivista Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking. Uno studio condotto nel 2021 ha rivelato che l’iperconnessione può essere collegata a disturbi psicologici come ansia, depressione e una ridotta capacità di affrontare il rifiuto. La necessità di aumentare la visibilità e ottenere riconoscimento porta molte persone a esagerare, mettendo a rischio la propria vita per ottenere un’esposizione maggiore e mantenere un senso di importanza.

Dai Millennial alla Gen Z: il passaggio epocale

I millennial hanno vissuto un passaggio cruciale nella storia dei social media. Dai primi network come Bebo, MySpace e Facebook, che permettevano una condivisione più personale e spontanea, si è assistito all’ascesa di piattaforme come Instagram, che hanno trasformato il modo in cui ci si presenta al mondo. Inizialmente, i contenuti erano semplici, spesso frammenti di vita quotidiana: immagini di cene, tazze di caffè o libri. Con il tempo, però, la dinamica dei “like” e dei “follower” ha preso il sopravvento, creando una cultura della performance e dell’apparenza. Una ricerca del Pew Research Center del 2021 conferma che i Millennial sono tra i più forti utilizzatori di social media, con l’86% di loro che ne fa uso regolarmente​. Tuttavia, è la Generazione Z a vivere una pressione ancora maggiore, poiché cresciuta in un mondo dove i social media sono sempre esistiti. Secondo il Pew Research Center, il 46% degli adolescenti usa internet “quasi costantemente” e più del 59% di loro ha ammesso di provare ansia legata ai social media, in particolare al numero di “mi piace”​.

Autostima digitale

L’illusione di una maggiore sicurezza derivante da “like” e visualizzazioni è allettante, ma di breve durata. Secondo un rapporto del McKinsey Health Institute del 2023, la Generazione Z risente particolarmente degli effetti negativi legati all’uso delle piattaforme social, con un forte impatto sull’immagine corporea e sull’autovalutazione. In particolare, il 32% delle giovani donne ha segnalato una riduzione della propria autostima a causa dell’esposizione sui social, rispetto al 16% dei giovani uomini.

Spesso, il valore personale viene associato a parametri digitali come “like” e follower, che offrono una gratificazione temporanea ma non riescono a fornire un supporto reale e duraturo all’autostima. Questa costante ricerca di approvazione esterna alimenta un circolo vizioso di insoddisfazione, minando il benessere emotivo e rendendo la dipendenza da riconoscimento virtuale sempre più insidiosa.

Il legame tra narcisismo e selfie

Un’indagine condotta nel 2019 da Lodha e De Sousa ha ulteriormente esplorato il legame tra il narcisismo e il fenomeno dei selfie, in particolare i selfie “estremi”. I risultati suggeriscono che l’ossessione per questi autoscatti potrebbe riflettere problematiche psicologiche più profonde, come disturbi dell’autostima e dell’immagine corporea, fino ad arrivare, in casi estremi, a disordini mentali come la psicosi. Il bisogno di approvazione virtuale, sempre più legato a metriche superficiali come i “like”, induce molti a compiere gesti azzardati, sottovalutando il rischio pur di ottenere la gratificazione temporanea del consenso sociale. Questi dati delineano una dinamica allarmante, dove il desiderio di visibilità e accettazione sui social media trasforma le persone in protagonisti di pericolose sfide quotidiane, ponendo una seria riflessione sull’educazione al rischio e sull’uso responsabile delle piattaforme digitali. In un’epoca dove il confine tra reale e virtuale si assottiglia sempre più, comprendere le conseguenze dei propri gesti diventa essenziale per prevenire altre tragiche perdite.

Il pentimento della Gen Z: Il 47% vorrebbe che i social non esistessero

I social media non causano solo incidenti fisici, ma possono anche avere un impatto profondo sulla salute mentale. Uno studio condotto da Jonathan Haidt e Will Johnson, pubblicato sul New York Times, ha rivelato che una parte crescente della Generazione Z si pente del ruolo dominante che i social media hanno nella loro vita. Il 47% degli intervistati ha affermato che preferirebbe che piattaforme come TikTok non fossero mai state create, segnalando un crescente rimorso per la dipendenza generata da queste app.

Di fronte a questi rischi, molti giovani si dichiarano a favore di una regolamentazione più rigorosa per l’uso dei social media, soprattutto per i minori. Il 57% degli intervistati sostiene la limitazione dell’accesso ai social per i bambini sotto i 14 anni, mentre il 69% ritiene che debbano essere offerte versioni più sicure per gli utenti minorenni.

A livello legislativo, il Congresso degli Stati Uniti sta attualmente discutendo il Kids Online Safety Act, una proposta di legge volta a rendere i social media meno pericolosi per i giovani, limitando le caratteristiche che favoriscono la dipendenza.

Digital Paradox

La Generazione Z si trova intrappolata in un paradosso: da un lato, i social media rappresentano un’importante fonte di connessione e espressione di sé; dall’altro, i pericoli legati al loro utilizzo e alla ricerca continua di approvazione stanno causando un profondo malessere sociale. Se non verranno presi provvedimenti concreti per regolamentare e limitare i rischi, il prezzo da pagare potrebbe essere ancora più alto. La domanda finale resta: quanto vale davvero questa vita online?