Intervista allo street artist CIBO: l’Arte che combatte l'odio sui muri delle nostre città.

La street art acquisisce una nuova dimensione quando si lancia in una battaglia contro le forze negative, cercando di "contrastare il male con il bene". Un artista straordinario come Pier Paolo Spinazzè, noto con il nome d'arte CIBO, utilizza il linguaggio immediato e universale della cucina italiana, amata da tutti, per trasformare i muri delle città di tutto il mondo. Questi muri, spesso deturpati da messaggi di odio e intolleranza razziale, diventano il suo campo di battaglia. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Pier Paolo, che da oltre 15 anni dedica passione e impegno al suo lavoro, portando avanti una missione sociale attraverso l'arte.

noooborderscibo_cover013
07 Luglio, 2023

La firma di CIBO è ormai diventata sinonimo di eccellenza artistica italiana. Ma il suo scopo va ben oltre l’estetica visiva. Attraverso la sua creatività, CIBO si impegna a restituire qualcosa alla comunità, trasformando i messaggi di odio in opere d’arte “appetitose” che catturano istantaneamente l’attenzione e stimolano riflessioni.

Nato nel 1982 a Vittorio Veneto (TV) e residente nella provincia di Verona, Pier Paolo Spinazzè ha seguito un percorso formativo artistico che si è perfezionato con una laurea in disegno industriale. Da 25 anni, CIBO è attivo come street artist e wall designer, utilizzando diverse firme per promuovere una forma di comunicazione murale diversa, in grado di esprimere concetti complessi con estrema semplicità.

Inoltre, con Pier Paolo non è la prima volta che ci incontriamo, dopo aver collaborato assieme ad alcuni progetti culturali diversi anni fa, quando ancora doveva nascere ufficialmente NOOO Agency e ci siamo ritrovati all’interno dell’hub creativo rappresentato dall’allora Studio NOOO.

In questo momento, ti trovi sulla nave Mare Ionio di Mediterranea Rescue (Mediterranea Saving Humans), dove stai dipingendo delle ciambelle a forma di salvagente. Puoi raccontarci di più su questo progetto?

Tutto è iniziato quando ho coperto una croce celtica davanti al liceo artistico di Verona e i volontari di Mediterranea Rescue sono venuti a conoscenza del mio lavoro. Mi hanno chiamato per fare qualcosa insieme e così in questo momento sto dipingendo sui container che ospitano le persone che vengono salvate in mare per dar loro un’accoglienza anche “visiva”, facendoli subito sentire al sicuro, in modo che il primo messaggio ad attenderli sia: “qui troverete cibo, protezione e umanità”. Ho accettato di partecipare a questo progetto a titolo gratuito, come spesso accade, perché credo che sia importante dare una mano a chi sta aiutando gli altri. Per me, è una questione di “punti karma” (ride N.d.R.). Fare del bene fa bene, e ritengo sia giusto restituire alla comunità quello che si è ricevuto attraverso i propri mezzi e possibilità.

Hai conquistato una notevole popolarità come street artist, con oltre 360 mila follower su Instagram. Ci puoi parlare di come è nato il tuo stile artistico?

Il mio stile artistico è principalmente un dialogo, nato come sfida personale per schernire i fascisti, e contemporaneamente esprimere un messaggio di bellezza e creatività. Utilizzo il cibo perché simbolo della nostra cultura e tradizione e conoscendo l’amore per la tavola degli italiani, è come disegnare “arte sacra”. Vedo il cibo come un elemento immediato che cattura l’attenzione delle persone, per raccontare storie e trasmettere un messaggio positivo.

In bilico tra opera d’arte e performance artistica in continua evoluzione. Qual è il tuo metodo e quali sono gli obiettivi della tua arte?

Innanzitutto la mia produzione si divide tra volontariato e lavoro, entrambi hanno la stessa firma e stile, ma cambiano i supporti e gli intenti.

Quando sono in giro e vedo una svastica, una celtica fascista o messaggi di odio, per me è naturale fermarmi e cancellarli, è questione di senso civico, a prescindere dalla denuncia che posso prendere. Questa forma di volontariato la unisco al mio stile e il loro odio diventa a tutti gli effetti un ingrediente della mia cambusa, specialmente se tornano a rovinare il murales.

Per quanto il gesto risulti semplice, a volte puerile, va a togliere potere agli autori delle scritte, una risata delegittima la posizione di duri e puri che si sono costruiti attraverso il branco ed una iconografia quantomeno démodé.

La parte di lavoro è ugualmente gustosa, ma con muri più grandi, mecenati creativi e con tematiche sensibili per le persone che “vivono” quel muro.

Ora sto seguendo molto il tema dell’ambiente, il prossimo murales a Lubiana avrà come accento la lotta alla plastica. Usare solo il cibo come linguaggio non è facile, ma è una sfida che mi piace.

Come hai utilizzato i canali social per diffondere il tuo pensiero e raggiungere un vasto pubblico?

Sono arrivato tardi sui social, e l’ho fatto inizialmente perché ritenevo fosse una buona idea coprire i messaggi di odio con formaggi e cupcake. Poi ho visto che la community, specialmente Instagram, era particolarmente “affamata” e da attivismo è diventato qualcosa di più. Ovviamente, pubblicare post con svastiche non piace molto agli algoritmi, e mi trovo a subire ban e penalità al pari della mia controparte. Diciamo che i social dovrebbero essere più umanamente presenti, specialmente con noi creators che riempiamo i loro server di contenuti. Comunque sono fortunato, i miei followers sono educatissimi, sagaci nei commenti e discreti quando mi incontrano. Capita a volte che alcuni fan, motivati dai miei interventi, mi inviino i loro, e per me è il massimo perché capisco che la mia idea ha funzionato.

Ci puoi parlare delle difficoltà che un artista come te si trova a dover affrontare?

Oltre alle difficoltà di ogni artista, perciò svalutazione economica del proprio operato, mancanza di prospettive lavorative, assenza di politiche sociali… io mi trovo a combattere innanzitutto con gli autori delle scritte d’odio.
Questo comporta una presenza costante nei tribunali, minacce e attentati con bombe carta sotto la mia abitazione. Fortunatamente non sono più gli anni di piombo, né tantomeno il ventennio, ma devo prendere delle precauzioni come disegnare in pieno giorno, evitare alcuni quartieri-locali-negozi e ovviamente denunciare ogni attacco che subisco. Se nessuno si è fatto male è solo per merito mio, perché non sono mai andato nel loro “campo”, che è quello della violenza, ma li ho portati nel mio, che è quello della creatività, e in quel campo, vinco io. Da statuto sono ottimista e il gioco va avanti da talmente tanto che gli altri hanno rinunciato a giocare.

Cosa ne pensi dei Festival artistici?

A volte i festival sono l’unico modo di fare grandi muri, perché chi organizza conosce il quartiere, può avvalersi di volontari, e ovviamente si dipana attraverso l’iter burocratico-politico. Spesso ci sono dei temi da rispettare, a volte è libero, a volte capita che censurino il progetto. Ci sono festival stupendi che da anni proseguono la loro missione con artisti da tutto il mondo, e altri nati tra amici, solo per abbellire un quartiere. Io sono per muri che sappiano dialogare con la cittadinanza più che mero decorativismo.

Come hai visto il tuo lavoro avere un impatto concreto sul contrasto all’odio?

Ho cancellato centinaia di simboli d’odio e la cosa che più mi ha lasciato perplesso è che la gente si accorgeva dei miei disegni, non dei simboli che ho coperto, come a dire che le svastiche e le celtiche erano oramai sfondo urbano, e che la cittadinanza le aveva inconsciamente accettate.
Cancellandole, le ho evidenziate e allo stesso tempo derise, con perseveranza le ho sconfitte, i muri vicino a casa mia ora sono “buonissimi”. C’è da dire che quando arrivo io è già tardi, nel senso che tutti gli altri metodi di contrasto all’odio hanno già fallito, cioè cultura ed educazione. Le mie sono stupende toppe che vanno a eliminare l’effetto, non la causa. Se si volesse eliminare la causa di tutto questo odio, dovremmo investire sull’istruzione per avere tra vent’anni dei cittadini migliori.

Sei ormai un artista internazionale. Ci puoi raccontare come hai visto il tuo lavoro essere apprezzato all’estero?

Il mio orgoglio più grande è stato a Parigi durante la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, e ho rappresentato la mia nazione realizzando un murales in una scuola elementare nel 13mo arrondissement, dove insegnano italiano e dove ci sono numerose opere di street art. Ho anche partecipato a un convegno di chef in Portogallo, parlando di come il cibo possa combattere l’odio. Un allevatore di pitoni mi ha fatto disegnare frutta locale su tutta la sua fattoria in Tailandia. Poi libri per bambini negli States, e molti altri progetti, che dimostrano come la street art e il mio stile sia spesso meglio compreso che in Italia.

Cosa pensi dell’intelligenza artificiale e come credi che questa possa influenzare il tuo lavoro e l’evoluzione della street art in generale?

Vedo l’intelligenza artificiale come uno strumento. Non la considero ancora come un’intelligenza, ma piuttosto un ausilio per la creatività. Le innovazioni come l’AI semplificano il lavoro dei professionisti in ogni settore, anche in quello artistico e non capisco le polemiche che spesso la circondano. Anche in passato, per esempio, i ragionieri erano contrari alle calcolatrici. Penso che dovremmo avere più fiducia nelle nuove tecnologie e utilizzare queste risorse per migliorare le nostre capacità creative e artistiche.

Come vedi l’evoluzione del tuo lavoro in futuro e quali sono i progetti che hai in cantiere?

In strada se ci sei nato, ci rimani, perciò non mi priverò mai di disegnare sui muri, ma volevo fermare alcuni tratti del mio stile di oggi in opere meno effimere di un murales. Da anni realizzo quadri e sculture, ma le tengo gelosamente nascoste. L’anno prossimo credo di essere pronto per la mia prima personale in galleria. Sempre io, ma gourmet.

Pier Paolo Spinazzè da oltre 15 anni lavora e disegna sotto la tag di CIBO, la sua firma più nota, sinonimo ormai dell’eccellenza artistica italiana e di un impegno sociale che, attraverso l’arte, ha come obiettivo restituire qualcosa alla comunità trasformando i messaggi d’odio, che spesso purtroppo deturpano i muri delle nostre bellissime città, in appetitose opere d’arte.
L’artista, residente in provincia di Verona, è nato nel 1982 a Vittorio Veneto (TV) e ha seguito un percorso formativo artistico perfezionato dalla laurea in disegno industriale.
Da 25 anni è attivo come street artist e wall designer sotto diverse firme sempre con l’obiettivo di promuovere una forma di comunicazione murale diversa capace di esprimere concetti anche complessi con estrema semplicità.

INSTAGRAM
FACEBOOK