Questi eventi, intensificati dalla crisi climatica, non si limitano a distruggere paesaggi e infrastrutture: lasciano cicatrici profonde anche nelle menti di chi li vive o li osserva. L’eco-ansia, angoscia crescente per un pianeta in crisi, non è solo paura. È un riflesso della nostra impotenza di fronte al cambiamento, ma può anche trasformarsi in un motore potente. Riconoscerla e affrontarla è il primo passo per trasformare la paralisi in azioni concrete.
La crisi climatica e il suo impatto sulla salute mentale
La crisi climatica, con il suo seguito di disastri ambientali e danni economici, non colpisce solo il paesaggio o i bilanci, ma scava in profondità nelle fragilità umane, aprendo un fronte invisibile ma devastante: quello della salute mentale. L’eco-ansia, o ansia climatica, ne è la manifestazione più evidente, un malessere che affonda le sue radici nella paura costante per il destino del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano.
Non è una semplice preoccupazione passeggera, ma uno stato emotivo capace di condizionare la vita quotidiana, generando in alcuni casi panico o sindromi depressive. Gli studi più recenti parlano chiaro: un decimo della popolazione globale soffre di eco-ansia in modo diretto e significativo. Tuttavia, il numero di persone che ammettono di sentirsi turbate e preoccupate dal cambiamento climatico è molto più ampio.
L’eco-ansia non è solo un segnale di vulnerabilità, ma il riflesso di un legame spezzato con il nostro ambiente. Riconoscerla è il primo passo per comprendere che il cambiamento climatico non si combatte soltanto con soluzioni tecnologiche, ma anche salvaguardando la nostra capacità di sperare e agire.
Il cambiamento climatico secondo il rapporto Climate Change in the American Mind
La crisi climatica, con le sue conseguenze devastanti, non solo trasforma il nostro pianeta, ma modella profondamente le convinzioni e le emozioni collettive. Secondo il rapporto “Climate Change in the American Mind: Beliefs & Attitudes”, pubblicato dal Yale Program on Climate Change Communication e dal George Mason University Center for Climate Change Communication, il 64% degli americani si dichiara almeno “moderatamente preoccupato” per il riscaldamento globale, mentre il 27% afferma di essere “molto preoccupato”. Questi dati evidenziano una sensibilità crescente verso la crisi ambientale, che non si limita alla sfera intellettuale, ma coinvolge profondamente quella emotiva.
Il rapporto delinea anche un quadro dettagliato delle emozioni associate al riscaldamento globale. Più della metà degli americani (58%) si dice “molto” o “moderatamente interessata” al tema, un segnale di attenzione diffusa. Tuttavia, il riscaldamento globale suscita una gamma di sentimenti contrastanti: il 48% prova frustrazione, il 41% speranza, mentre il 40% si dichiara triste o disgustato. Emozioni più intense, come rabbia (35%), paura (34%) e indignazione (34%), sono meno comuni, ma comunque rilevanti. Infine, stati emotivi più profondi come ansia (32%), disperazione (29%) e depressione (23%) rivelano l’impatto psicologico che questa crisi esercita su una parte significativa della popolazione.
Questi dati, oltre a fotografare la percezione pubblica del problema, sottolineano l’urgenza di affrontare il riscaldamento globale non solo con soluzioni tecniche, ma anche con strumenti in grado di rispondere alle sue ripercussioni emotive e psicologiche. Comprendere e gestire queste emozioni non è solo un atto di cura personale, ma un passaggio fondamentale per trasformare il disagio in azione concreta verso un futuro sostenibile.
In America l’eco-ansia colpisce un cittadino su dieci
Sempre secondo il rapporto “Climate Change in the American Mind: Beliefs & Attitudes”, emerge un ulteriore dato significativo: il cambiamento climatico non influisce solo sull’ambiente, ma genera sintomi di ansia e depressione in una parte rilevante della popolazione americana. Circa un americano su dieci riporta segni tangibili di disagio psicologico legati al riscaldamento globale.
Più nello specifico, l’11% degli intervistati dichiara di essersi sentito nervoso, ansioso o teso per almeno “diversi giorni” negli ultimi mesi, mentre il 9% riferisce di non riuscire a fermare o controllare le preoccupazioni legate al clima. Sul fronte depressivo, un altro 9% confessa di aver provato sentimenti di tristezza o disperazione legati al riscaldamento globale, e il 7% dichiara di aver perso interesse o piacere nelle attività quotidiane per lo stesso motivo.
Questi numeri, pur rappresentando una minoranza, segnalano l’emergere di un disagio collettivo che non può essere ignorato. La crisi climatica si riflette non solo sulle condizioni fisiche del pianeta, ma anche su quelle mentali di chi vi abita.
Come le persone reagiscono all’idea del riscaldamento globale
Il riscaldamento globale non è solo una questione di dati scientifici e interventi politici, ma anche una sfida psicologica che si riflette nei modi in cui le persone scelgono di reagire a questa crisi. Secondo gli studi, una parte significativa della popolazione americana adotta strategie di evitamento per gestire l’angoscia climatica: il 27% degli intervistati afferma di “cercare di non pensare al riscaldamento globale”, mentre il 15% ammette di “evitare attivamente informazioni sull’argomento”.
Tuttavia, l’evitamento non è l’unico approccio. Circa un americano su dieci (11%) riconosce di avere difficoltà a smettere di leggere, guardare o ascoltare cattive notizie sul riscaldamento globale, evidenziando una sorta di ossessione informativa che può aggravare il disagio. Parallelamente, un altro 10% dichiara di cercare attivamente supporto sociale o emotivo da persone che condividono i loro valori sul cambiamento climatico, un segnale che il senso di comunità può giocare un ruolo cruciale nella gestione di questa preoccupazione.
Che si tratti di evitare il problema o di affrontarlo attraverso il supporto di una rete sociale, la reazione delle persone al riscaldamento globale riflette la profondità dell’impatto che questa crisi ha sulla vita quotidiana. Riconoscere queste dinamiche è fondamentale per costruire strategie che non solo riducano i danni ambientali, ma aiutino anche le persone a convivere con l’incertezza del futuro.
L’eco-ansia è un’emergenza globale
Philippe Conus, responsabile del Dipartimento di psichiatria generale del Centro ospedaliero universitario del Canton Vaud (CHUV), ha acceso i riflettori su un fenomeno che non può più essere sottovalutato: l’eco-ansia, in rapido aumento, rimane una questione trascurata dalla comunità internazionale. Conus sottolinea l’urgenza di affrontare questa emergenza, auspicando il supporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per tutelare la salute mentale di una popolazione sempre più segnata dagli effetti del cambiamento climatico.
Secondo Conus, l’eco-ansia si manifesta in modo particolare nell’uomo contemporaneo, profondamente legato all’illusione del controllo. Quando l’ambiente, destabilizzato dalla crisi climatica, perde la sua prevedibilità, l’individuo precipita in una spirale di incertezza e impotenza. Tuttavia, esistono approcci concreti per arginare questa condizione e ristabilire un equilibrio.
Un primo passo è concentrarsi sulle notizie positive: i successi nella lotta contro la crisi climatica possono contrastare l’ossessione per le catastrofi amplificate dalla cronaca. Altrettanto essenziale è trovare momenti per riconnettersi con la natura, apprezzandone la bellezza e il valore ancora intatto. Infine, è indispensabile accettare l’imprevedibilità come una costante, sviluppando un approccio lucido e pragmatico alla realtà che cambia.
L’appello di Conus va ben oltre le istituzioni: è un invito a ciascuno di noi. Riconoscere l’eco-ansia non significa cedervi, ma utilizzare questa consapevolezza per affrontare la crisi climatica con maggiore lucidità. Non si tratta solo di proteggere il pianeta, ma di preservare il nostro stesso equilibrio interiore mentre ci adoperiamo per cambiare le cose.
Trovare uno spazio mentale di preoccupazione sostenibile
In un articolo pubblicato sul New Yorker, Jia Tolentino, psicoterapeuta esperta di climate therapy, esplora l’importanza di aiutare i pazienti a trovare uno “spazio mentale di preoccupazione sostenibile”. Questo approccio non solo allevia l’ansia, ma offre anche un quadro mentale che permette di affrontare l’incertezza climatica senza esserne sopraffatti. La chiave per gestire queste emozioni, sostiene la Tolentino, è diventare parte attiva nelle iniziative pro-clima, unendo introspezione e azione.
Ma qual è il giusto grado di preoccupazione per il futuro del pianeta? Questo dilemma emerge anche nella storia di Tim Wehage, un ingegnere cresciuto nel caldo opprimente della Florida meridionale, che ha trasformato la sua inquietudine climatica in un viaggio personale e professionale. Dopo aver scoperto il riscaldamento globale all’università, ha dedicato la sua carriera all’efficienza energetica, spostandosi a Seattle e adottando uno stile di vita sostenibile.
Cos’è la Climate Psychiatry Alliance: la rete di oltre 300 terapeuti nata per affrontare l’eco-ansia e il peso psicologico della crisi climatica
La crisi climatica non è solo una questione ambientale o economica: sta diventando sempre più un’emergenza psicologica. Ansia, senso di impotenza e disperazione sono reazioni diffuse e spesso non riconosciute. La Climate Psychiatry Alliance, con oltre 300 terapeuti specializzati, rappresenta una risorsa fondamentale per chi lotta con l’eco-ansia, offrendo strumenti per affrontare la sofferenza legata a un futuro incerto e sempre più minaccioso.
Secondo ricerche recenti, circa il 70% della popolazione globale è preoccupata per il cambiamento climatico, e un 25% soffre di ansia climatica in forme significative. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 56% della Generazione Z ritiene che “l’umanità sia condannata”. Di fronte a tali numeri, il supporto psicologico si rivela essenziale per trasformare l’angoscia in azione. È qui che la Climate Psychiatry Alliance entra in gioco, offrendo una rete di professionisti dedicati a trattare l’impatto psicologico della crisi climatica.
Lettura consigliata: Radici psicologiche della crisi climatica. L’immaginazione che distrugge e quella che cura.
Nel suo libro Psychological Roots of the Climate Crisis: Neoliberal Exceptionalism and the Culture of Uncare, Sally Weintrobe analizza le radici profonde della crisi climatica, identificandola come un conflitto tra due tipi di immaginazione: quella che si prende cura del mondo e quella che lo ignora. Questo scontro, secondo l’autrice, non si riflette solo nella politica e nella cultura — come nei testi di Ayn Rand — ma anche nella psicologia individuale.
Al centro della sua analisi, Weintrobe individua l’”eccezionalismo”, una rigida mentalità psicologica che alimenta la crisi. Questo approccio, radicato in un senso di diritto ingiustificato, spinge a credere di poter manipolare la realtà a proprio vantaggio, ignorando limiti e responsabilità. È una forma di pensiero onnipotente e magico, che giustifica un accesso sproporzionato alle risorse e perpetua l’indifferenza verso le conseguenze delle proprie azioni.
Nonostante il tema apparentemente cupo, il libro adotta un tono riflessivo e ironico, senza mai scadere nel gergo tecnico. Attraverso esempi tratti dalla storia, dalla letteratura, dalla poesia e dall’esperienza clinica dell’autrice, il testo invita a un cambiamento culturale e psicologico: abbandonare l’eccezionalismo e abbracciare una prospettiva di maggiore cura e consapevolezza.
Weintrobe non si limita a delineare il problema, ma offre strumenti per riconoscere l’immaginazione indifferente dentro e fuori di noi, aprendo la strada a una trasformazione individuale e collettiva. «La crisi climatica», sostiene, «non è solo una questione di politiche ambientali, ma di immaginazione e volontà. Solo affrontando queste “verità difficili” possiamo sperare di costruire un futuro sostenibile e giusto.»
Milano, epicentro dell’ecoansia in Italia, guida iniziative per promuovere soluzioni sostenibili su scala nazionale ed europea.
Secondo un rapporto del Consulcesi Group, Milano è la città italiana con la maggiore incidenza di ecoansia, un fenomeno che riflette non solo la crescente consapevolezza ambientale, ma anche l’urgenza di interventi concreti. In risposta, Consulcesi ha lanciato l’iniziativa “Aria Pulita” il 5 giugno 2023, con un duplice obiettivo: promuovere un risarcimento collettivo per i danni causati dall’inquinamento atmosferico e sollecitare misure politiche decisive per ridurre le emissioni nocive. A livello europeo, la Strategia per la Biodiversità per il 2030, adottata il 20 maggio 2020, punta alla piantumazione di almeno 3 miliardi di alberi entro il 2030. Tuttavia, l’Italia affronta una sfida cruciale: i vivai forestali nazionali risultano insufficienti, mentre quelli privati sono spesso destinati a scopi ornamentali o agricoli. Nonostante ciò, molte aziende italiane stanno già investendo nella produzione di alberi più resistenti ai cambiamenti climatici, riconoscendo la ripiantumazione come una componente essenziale per la tutela delle foreste e dell’ambiente.
Parallelamente, in Italia si moltiplicano le iniziative che uniscono innovazione, consapevolezza sociale e sostenibilità. Dai materiali a basso impatto ambientale alle app per ridurre l’impronta ecologica, dall’alimentazione vegana al guerrilla gardening, dalle politiche per la salvaguardia degli alberi alle nuove opportunità lavorative legate alla transizione verde: il panorama italiano si sta arricchendo di progetti che integrano la sostenibilità nelle pratiche quotidiane.
Milano non è solo il simbolo di un problema, ma anche il centro di un movimento che cerca di trasformare l’ecoansia in azione. Dal coinvolgimento sociale alle politiche verdi, ogni passo verso un futuro più sostenibile rappresenta una risposta concreta alla crisi climatica.