Quando la Street Art difende il Pianeta: incontriamo l'artista Moby Dick, il "Banksy degli animali"

Intervista a Moby Dick, all'anagrafe Marco Tarascio, artista e pioniere di una rivoluzione visiva sull'etica ambientale e sulla salvaguardia della fauna a rischio estinzione.

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06 Novembre, 2023

«Le creature che affresco, non sono solo soggetti d’arte, ma simboli di una battaglia più ampia, quella per la loro sopravvivenza».

Moby Dick

È con queste parole che ha inizio il nostro dialogo con Moby Dick, un artista che emerge come emblema di novità e passione nell’effervescente panorama dell’arte contemporanea. Un alias che subito rievoca la maestosa narrazione di Melville.

Formatosi tra le mura rinomate dell’Accademia di Belle Arti di Roma, questo straordinario artista ha inizialmente spiegato le ali della fantasia tra scenografie e tele pop surrealiste, ma è nel pulsante universo della street art che ha trovato la sua principale dimensione narrativa.

Collaborando con icone del calibro di ROA ed Eduardo Kobra, Moby Dick ha metabolizzato il ritmo della strada, trasfigurandolo in un’espressione visiva potente e densa di significati. Il suo viaggio artistico è una dichiarazione d’amore verso il regno animale e la natura, plasmando, con ogni tratto ed esplosione cromatica, messaggi vibranti di un’inedita militanza ecologista. Un attivismo che prende forma e colore sulle strade del mondo, invitando a un’attenta riflessione.

Il tuo lavoro artistico è diventato un simbolo di resistenza e sensibilizzazione per la salvaguardia della fauna selvatica e marina. Puoi condividere con noi come le tue opere influenzino la lotta contro il bracconaggio e l’inquinamento, e quale impatto hanno avuto sulla comunità e sulle associazioni ambientaliste?

Da oltre 15 anni, i miei murales sono diventati un mezzo per suscitare azione e consapevolezza ambientale. Ho trasformato muri e facciate in una narrazione visiva, dalle tigri del Bengala agli elefanti, dai capodogli alle balene: ognuno è un appello per la salvaguardia delle specie minacciate. Le mie opere, come la megattera che adorna il Teatro dell’Opera di Firenze o lo squalo argentato creato per il “Plastica d’A-mare”, instaurano un dialogo visivo con l’osservatore, estendendosi fino alle comunità più isolate per ispirare una relazione più sostenibile tra l’uomo e il mondo naturale. La partecipazione a eventi di portata globale come il World Vegan Day, intensificano la mia crociata artistica contro la caccia predatoria e le piaghe della plastica e dell’inquinamento oceanico. Insieme a organizzazioni come Animal Aid, Animal Asia e Animalisti Italiani, lavoriamo per tutelare gli ambienti naturali e i loro abitanti, sia sulla terraferma che nei mari. Il nostro obiettivo comune è lo sviluppo di progetti che non solo proteggano, ma che rivitalizzino la biodiversità del pianeta attraverso l’educazione pubblica e l’impegno diretto.

Come è nata l’idea di utilizzare la street art come piattaforma comunicativa per la salvaguardia dell’ambiente?

Ho sempre avuto questa doppia passione – amore per gli animali e pittura; che mi spingeva a fare qualcosa di concreto. Usare la street art è stato quasi un istinto: è visiva, diretta e non può essere ignorata. Portare l’attenzione sulle specie in via di estinzione era un dovere, per me. E per il mare, che è un ecosistema così vitale ma fragile, volevo approfondire e portare alla luce le sue problematiche uniche. È un luogo senza confini definiti, dove ogni zona ha regole diverse e spesso insufficienti per proteggerlo efficacemente.

Il mio impegno trascende da sempre il semplice atto pittorico: ogni colore e sagoma che prende forma sulla tela urbana, deve avere la voce di un grido contro l’indifferenza. Le creature che affresco, non sono solo soggetti d’arte, ma simboli di una battaglia più ampia, quella per la loro sopravvivenza.

Come riesci a convertire spazi urbani marginali in narrazioni visive che stimolino un cambiamento concreto nella percezione delle tematiche ambientali?

Cerco di risvegliare l’animo della gente, utilizzando luoghi spesso marginalizzati come le periferie urbane, trasformandoli in cronache visive, in veri e propri giornali a cielo aperto che catturano l’attenzione di chiunque vi passi davanti. In una mia opera raffigurante uno squalo bianco di dimensioni imponenti, che sembra balzare fuori da un edificio nel porto turistico di Ostia, è un inno alla grandiosità e allo stesso tempo fragilità della vita marina, una protesta visiva contro il consumo di plastica che infesta i nostri mari, e ti colpisce con una certa forza. Se non lo fai con questa rabbia dentro, non puoi fare lo street artist; al massimo sarai un grafico, o qualcos’altro. La decorazione di un muro è tutt’altra storia. Ci sono tanti bandi che ti incitano a fare cose piacevoli, dipingere fiori, lanciare messaggi contro il razzismo, ma quello è solo abbellimento. Dipingere un bel muro con una tematica buonista serve? No. Se scrivo “amiamoci” dove mi chiedono di farlo, non cambio nulla. Bisogna urlare dalle strade “vere”, le strade di tutti i giorni, quelle dove passa la gente, con qualcosa che ti colpisce duro, che ti prende alle viscere, che ti scuote fino in fondo. Solo così si può innescare un pensiero che non richiede spiegazioni o didascalie superflue, ma che emerge spontaneo dal tuo interiore e diventa parte di un pensiero collettivo.

Qual è, secondo te, il ruolo della street art nell’arte?

La street art ha riscattato un ruolo comunicativo che la accomuna in maniera sorprendente all’arte sacra di un tempo. Proprio come gli affreschi e gli altari narravano storie universali rendendole accessibili a fedeli di ogni estrazione, anche a chi non sapeva leggere, la street art si districa dai formalismi e si pone come nuovo canale di narrazione visiva, trasversale e democratico. Le immagini si trasformano in parole, in ideogrammi di immediata comprensione, il cui significato profondo si insinua senza bisogno di mediazioni nel tessuto urbano. La strada diventa così una galleria a cielo aperto, una pagina bianca dove ogni passante, indipendentemente dalla propria conoscenza artistica, può leggere e interpretare l’immagine artistica con un’intuitività quasi primordiale. Ciò che emerge è una sorta di codice visivo universale, libero da stereotipi, capace di oltrepassare i limiti fisici delle gallerie d’arte e di arrivare, con il suo significato intrinseco, direttamente all’anima del pubblico.

Puoi parlarci dei tuoi prossimi progetti?

In questo periodo, sto esplorando le radici più remote della comunicazione visiva umana collaborando con Innocenzo Ceci, un eccellente architetto italiano, nel nostro progetto “Pre Post Art”. Questa iniziativa si propone di rievocare l’arte rupestre in un contesto contemporaneo, con l’obiettivo di suscitare un dialogo sia antropologico che ambientale. Partiamo dall’essenzialità delle raffigurazioni di bisonti e tori nelle grotte preistoriche come Lascaux e altri siti tra Francia e Spagna per approfondire non soltanto le tematiche legate all’ambiente, ma anche per esplorare il viaggio intrapreso dall’uomo nell’arte fin dalle sue origini.

Il nostro intento è quello di far riflettere sulle antiche tecniche di pittura su pietra, utilizzando le mani per disegnare, proprio come facevano i nostri antenati nelle caverne. Questo metodo rappresenta un ponte tra il linguaggio visivo dell’epoca preistorica e quello del nostro tempo, dove l’essenziale non è il medium in sé, ma il messaggio veicolato dall’arte lungo il percorso evolutivo dell’umanità.

Inoltre, i colori che utilizziamo sono derivati da terre e pigmenti naturali, in omaggio alle tecniche ancestrali e mantenendo un forte legame con l’ecologia e il principio di autenticità che vogliamo trasmettere. La nostra galleria a cielo aperto è un catalogo di specie scomparse, dalle terre ai mari, passando per bisonti, conchiglie, mante, fino ai fossili. Rievocando il passato, il nostro progetto invita a una riflessione sull’impatto umano nel mondo naturale attraverso il tempo.

Secondo te, quali sono le principali sfide che deve affrontare la street art oggi?

La street art contemporanea si trova in un crocevia complesso e affascinante, dove le sfide sono tanto culturali quanto etiche. Da un lato, abbiamo una dilagante confusione terminologica e concettuale: l’arte legale, l’arte illegale, il writing, il tag e così via. Questi termini vengono spesso mal interpretati o usati in modo improprio dalla stampa e dai media, che a volte confondono i murales con i poster o non comprendono le tecniche impiegate, contribuendo a una percezione superficiale e disinformata di questo linguaggio artistico.

Un altro aspetto problematico è il rischio di commercializzazione e di perdita dell’identità autentica della street art. La vicenda per esempio di un murales contro la pesca intensiva realizzato a Roma e finanziato da un’azienda come Findus, è emblematica: si parla di rispetto per i mari e antispecismo, mentre si collabora con chi contribuisce a un grave problema per l’ecosistema marino. Questa incongruenza è il cuore del dibattito sulla logicità tra il messaggio veicolato dall’opera e le azioni di chi la commissiona o realizza. Si assiste spesso a paradossi come questo, dove artisti che dovrebbero rappresentare la voce critica e indipendente della società cadono nel tranello della commercializzazione, perdendo di vista il principio secondo cui la street art dovrebbe essere un mezzo di attivismo e di denuncia sociale.

C’è differenza tra questo tipo ti problematiche in Italia rispetto all’estero?

La situazione in Italia sembra ancora più complessa a causa di un quadro politico che, invece di combattere problemi ecologici come gli allevamenti intensivi e la caccia, spesso li appoggia, generando contraddizioni flagranti. Programmi investigativi come ‘Report’, condotto da Sigfrido Ranucci e Giulia Innocenzi, stanno portando alla luce le realtà inquietanti di queste pratiche, ma incontrano resistenze perché sfidano interessi economici consolidati.

Di fronte a tutto questo, soprattutto in Italia, la street art – e ogni altra forma di denuncia sociale – non ha solo bisogno di essere compresa e valorizzata nel suo linguaggio unico e nella sua espressione tecnica, ma richiede maggiore coerenza. Coerenza tra il messaggio che vuole comunicare e la prassi, tra ciò che si dice e ciò che si fa. Senza questa integrità, l’arte di strada rischia di diventare un mero strumento di marketing, svuotata della sua potenza ribelle e trasformativa.

Quale sarà la tua prossima sfida creativa?

La sfida che attualmente incombe con maggiore peso sul mio iter creativo è, senza dubbio, l’impresa del prossimo lavoro che si appresta a essere non solo una prova di abilità, ma un vero e proprio traguardo personale. Mi trovo di fronte al compito di trasformare un palazzo di nove piani in un’opera d’arte, una sfida che per complessità e scala non lascia indifferenti. Nell’ambito della street art, le dimensioni contano e la tecnica di mappatura diventa cruciale quando si tratta di superfici così estese. Stiamo parlando di un processo che riesco a gestire nell’arco di quattro o cinque lavorativi, un breve lasso di tempo, che richiede una pianificazione e una concentrazione enormi.

E se ogni murale richiede un tempo di realizzazione variabile, che dipende intrinsecamente dallo stile e dalle tecniche impiegate, ciò che rimane immutato è l’intento: ogni nuova opera è un tassello in più nel mosaico della mia evoluzione artistica, un passo avanti nel mio continuo mettermi in gioco per provare a fare la differenza sulle tematiche che mi stanno a cuore.

Ci sono maestri dell’arte o del movimento street che consideri i tuoi punti di riferimento? In che modo hanno plasmato la tua visione artistica?

Le mie radici artistiche affondano nel fertile terreno lasciato da giganti con cui ho avuto l’opportunità di collaborare, come ROA; ma anche dagli artisti del passato come Monet e Degas. Questi maestri della luce mi hanno insegnato la percezione dell’istante, la necessità di catturarlo come farebbe un fotografo. L’istante è tutto.

Nella mia pratica, la grammatica visiva dei verdi, delle luci e delle ombre è essenziale per rendere tangibile il reale su una tela urbana. L’ora dorata, quella luce magica tanto cara agli impressionisti, è un concetto che ritorna spesso nelle mie opere, sottolineando come l’arte debba catturare lo spirito di un momento irripetibile.

Quanto conta la velocità nell’espressione artistica della street art?

La velocità è nel DNA della street art, non solo come meccanismo esecutivo, ma anche come simbolo. Originariamente, la necessità di dipingere con rapidità era dettata dalla clandestinità, un elemento che ho abbracciato e che, seppur non più necessario nel mio lavoro attuale, rimane fondamentale. L’istantaneità è essenziale perché rappresenta l’essenza stessa della strada: una dinamicità irrefrenabile che rifiuta le costrizioni museali. Cattura l’effervescenza della metropoli, è l’energia delle case popolari e delle vite in costante movimento. Prova a imprigionarla e perderà la sua forza vitale, come è successo quando hanno tentato di musealizzare un’opera di Banksy. La strada è viva, e l’arte che ne scaturisce deve rimanere libera e selvaggia, e pertanto restare rapida, immediata, sia nella sua percezione che realizzazione.

Che cosa rappresenta l’arte per te?

L’arte, per me, è un catalizzatore di cambiamento. Non è una questione di definizioni, o di un valore intrinseco all’opera, ma di messaggi portati fuori dalle gallerie, direttamente sulle strade, dove il contesto urbano si fa narrazione condivisa. Lo street artist si esprime con un impeto genuino, fuori dalle logiche commerciali, dove l’arte diventa un grido che trascende l’estetica. Un muro graffito con una buona intenzione non è mai solo decorazione, è una presa di posizione, un simbolo di ribellione e un racconto intimo allo stesso tempo, che genera una connessione tra persone.

Qual è la linea di demarcazione tra decorativismo e vera street art?

Il decorativismo è puro ornamento, non scuote l’anima né stimola il dibattito. È l’immagine piacevole che cela la stagnazione, una pacca sulla spalla del conformismo. La street art, invece, è il pugno sul tavolo dell’espressione libera, indipendentemente dalla perfezione tecnica. Ogni spruzzo di vernice, ogni linea tracciata, riflette un’intenzione, un messaggio che l’artista vuole comunicare al mondo. È autenticità allo stato puro. La street art è spesso togliere il proprio nome, o comunque lasciarlo in secondo piano, e lasciare che quello che fai arrivi prima di ciò che sei. Spunta in una notte, non sempre si firma: è un messaggio senza vincoli e senza regole.

Come è nato il tuo nome d’arte Moby Dick e che significato ha per te?

Il mio nome d’arte, ‘Moby Dick’, ha un’origine tanto curiosa quanto significativa. Stavo lavorando a un murale di una balena quando ho sentito un bambino, che teneva per mano il proprio nonno, esclamare entusiasta: «Guarda nonno, Moby Dick!».

È stato un momento di pura magia, perché quel nome non solo evocava l’animale che stavo dipingendo, ma anche l’essenza della natura selvaggia e imprevedibile del mare.

Il nome ha risuonato con me immediatamente perché riflette molti aspetti della street art che pratico: è un omaggio alle creature marine, un elemento ricorrente nelle mie opere; ma anche alla street art stessa, che, come la leggendaria balena di Melville ha un lato un po’ ribelle, imprevedibile e “illegale”. È un’espressione di trasformazione dell’orinario in straordinario. Questo nome, suggerito dall’innocenza di un bambino, incapsula perfettamente l’effetto che desidero la mia arte abbia sul pubblico: un impatto emotivo immediato, diretto e sincero, quasi viscerale e decisamente naturale. Con ‘Moby Dick’ come mio alter ego artistico, cerco di creare opere che parlino al cuore delle persone, in maniera istintiva, proprio come la street art dovrebbe fare.

Nell’epilogo della nostra esplorazione artistica, Moby Dick si rivela non solo come un pittore delle metropoli, ma come un narratore visivo di storie antiche su muri moderni. Il suo inchiostro è lo spray, la sua tela è il mondo. Con ogni opera, lancia un appello silenzioso ma potente per un risveglio collettivo verso la salvaguardia del pianeta e delle creature che lo popolano. E mentre la sua arte resiste al tempo e agli elementi, così fa il messaggio che porta: un invito a riflettere e proteggere; a non limitarsi a osservare. Un invito ad agire.


BIOGRAFIA

Moby Dick emerge come una delle figure chiave nell’arte e nella street art italiana, distintosi per il suo impegno nella rappresentazione di tematiche animali e ambientali. Pioniere in questo ambito, Moby Dick collabora attivamente con numerose associazioni animaliste, sia nazionali che internazionali, diventando un punto di riferimento nel movimento del Pop Surrealismo con una forte identità “Made in Italy”.

La sua carriera artistica ha raggiunto un punto di svolta quando è stato selezionato per partecipare a un evento collaterale della 53esima Biennale di Venezia. La sua presenza internazionale è stata ulteriormente consolidata da esposizioni di prestigio come quella al Jarvitz Center di Manhattan, nell’ambito del “Remade in Italy”, seguite da esibizioni a Tokyo, all’interno del Westing Hotel e a Osaka. Moby Dick è stato inoltre parte del progetto itinerante “Italian Feelings”, patrocinato dal MACIA e organizzato da Italians Contemporary, che ha toccato il Giappone e gli Stati Uniti.

Le sue opere sono state esposte nei musei e nelle gallerie più importanti al mondo, condividendo spazi espositivi con artisti del calibro di Natalie Shau, Scott Musgrove, Esao Andrews, Nicoletta Ceccoli, Mark Ryden, Nato Hattori, e Ron English. Prima di raggiungere la ribalta internazionale, ha affinato le sue competenze lavorando come assistente per street artist di fama mondiale come Eduardo Kobra e Roa.

La sua arte riflette un viaggio onirico profondamente radicato nel contatto con la natura, con una sensibilità particolarmente incline alla difesa degli animali e alla protezione dell’ambiente. Il suo pensiero si manifesta visivamente attraverso l’uso di immagini di animali, prediligendo spesso tematiche marine per sottolineare le criticità legate agli oceani.

Nato e formatosi in Italia, Moby Dick ha iniziato il suo percorso come scenografo e pittore pop surrealista a partire dal 2007, dopo aver conseguito il diploma presso il Liceo Artistico e la laurea all’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha trascorso anni a dipingere su tela, utilizzando tecniche ad olio e acrilico, ed ha esplorato il mondo artistico come assistente di artisti di rilevanza nazionale e internazionale. Con il tempo, la street art è diventata la sua principale espressione creativa, trovandosi più affine alle sue inclinazioni e al suo desiderio di comunicare direttamente con il pubblico.